Mi manca il caffè. Sembra banale, eppure dietro al rito del caffè in ufficio ci sono i volti, il sorriso, la relazione, la condivisione e l’intimità. Di certo il mio lavoro con un pc e un telefono si può svolgere ovunque, eppure è anche quel caffè che fa la differenza tra il “fare” e “l’essere insieme”.
In questo momento di emergenza, lo stare a distanza non limita solo il mio fare ma toglie quel gusto che da’ il sapore al fare. Credo che l’impegno di Caritas, ancor di più in questo momento, sia anche coltivare la speranza. Chi come me lavora nella progettazione deve avere, soprattutto oggi, il coraggio di sognare, di prendersi il rischio di guardare l’oltre, di essere visionario, di cercare di intuire al di là del presente, e quindi la responsabilità di provare a dare una forma al futuro. Ogni progetto è in fondo il formulario di un sogno. Perché, per far sì che nessuno resti indietro, serve colmare la distanza e bisogna anche fare in modo che ognuno possa partecipare alla scelta della direzione. E qui, ancora più forte con questa emergenza, provo a mettere il mio impegno.